baCI E BABA'
Dipende da quando ti capita di guardarla.
Dalla prospettiva, dall'ora...
Di giorno se passi in quello che loro chiamano il salotto buono pensi che ti siano state dette sono bugie.
Pulita, luminosa, piena di palazzi meravigliosi e chiese.
Le chiese sono una presenza costante, maestose o minuscole, schiacciate tra i palazzi e con ai lati, al posto delle vetrate a volta, balconcini con i panni stesi e antenne paraboliche attaccate sghembe.
Ecco forse a guardare bene da lontano è tutto un po' sghembo, come messo lì un attimo in attesa di una collocazione precisa che si è persa negli anni e nella vita che scorre.
E di vita ne scorre parecchia.
Vita ambulante, vita agiata, vita che si rincorre tra un caffè con calma e una granita al limone.
La calma è un altro punto assolutamente fermo...immobile.
Pare che nessuno abbia fretta, non chi passeggia, non chi lavora, non chi aspetta tranquillo lo scorrere dei colori del semaforo finché quello davanti a lui finisca di parlare di nulla con l'amico sul marciapiede.
Palazzi antichi e curati sulle vie principali e scorci di colorata decadenza sui vicoli che si aprono tra di loro.
L'effetto è bizzarro.
La quinta strada e trenta metri dietro il bronx, ma non un bronx cattivo e violento, un bronx caciarone, fatto di trecce d'aglio e cipolle che penzolano sul balcone, fatto di cascate di peperoncini e canovacci appesi tra calze, mutande e felpe Calvin Kline, più vere degli originali, perché che son fatte in china loro lo dicono....le altre, quelle nei negozi che costano no, loro millantano un pregio che è tutto un gioco di radianza.
Ogni bar, ogni ristorante è cordialità e benvenuto, è sorrisi e accoglienza, sembra che quella mattina si siano svegliati per servire te...o son solo dei gran paraculi e leggono quel turista scritto a chiare lettere in fronte, ma non credo.
Che poi, non servirebbe neanche leggerlo...basta che tu apra bocca e loro han già capito, già sanno, già sanno che per chiudertela ci vuole un babà...uno vero, una cosa di cui tu non immaginavi neanche l'esistenza.
E poi il mare, il golfo...le stazioni della metropolitana.
Le stazioni della metropolitana sono un delirio, dei musei sotterranei, degli esperimenti di pop art, delle discoteche anni 80'.
Colorate, pulite, singolari, psichedeliche!
Ma poi viene la notte.
E di notte tutto diventa caotico, i vicoli si riempiono, i muri diventano scuri e bui, dopo che i negozi chiudono gli occhi coprendo le scintillanti vetrine che di giorno li spezzano.
Le scritte vergate su saracinesche e mattoni, inghiottiti nella notte scura, danno un senso di claustrofobia, pare che ti vogliano inglobare e far scomparire tra la gente che passa o dietro ad un angolo.
Vien voglia di scappare, di tornare al grigio e al rigore ad un posto in cui un casco slacciato è da ammonire.
Ma poi pensi a quello che ti ha colpito di più.
Quella cosa che ti ha lasciata stupita e senza parole: i baci.
Per quelle strade, in riva a quel mare, tra quei vicoli, su quelle panchine ci si bacia.
Molto.
Sembra si bacino tutti.
Senza limiti d'età e senza pudore.
Baci belli, profondi, baci sentiti, baci che paiono per sempre.
Ed è così che bisognerebbe baciarsi, bisognerebbe farlo pensando che il prossimo che darai sarà il più bello e importante della tua vita.
Bisognerebbe impegnarsi quando lo si fa.
Mandare in ferie la vergogna e confluire anima e passione alle labbra così che quelle che incontreranno le nostre non possano fare altro che arrendersi.
E chissenefrega se domani baceranno un'altra, in questo bacio ci hai creduto e mai un “qui ora” è stato più vissuto.
Ed è stato pensando a quei baci che è passata la claustrofobia.
Perché le creature non sono macchine e per avere quei baci serve passione e la passione a volte fa dimenticare il resto.
Loro hanno il mare, il tempo cristallizzato e un vulcano inquieto a fianco.
Un mare che significa da sempre partenza e arrivi, un vulcano che sottolinea la precarietà di tutto e loro nel mezzo che è come se decidessero che, in tutto questo movimento, star fermi ed aspettare è forse l'unica soluzione.
In loro si percepisce una gran voglia di cambiamento annegata nella consapevolezza che nulla cambierà mai.
E giudicarli sarebbe stupido e arrogante.
Perché i figli degli altri li sanno educare tutti, le suocere degli altri sopportare....e tutti quelli che non ci vivono sanno come cambiare Napoli...
Dalla prospettiva, dall'ora...
Di giorno se passi in quello che loro chiamano il salotto buono pensi che ti siano state dette sono bugie.
Pulita, luminosa, piena di palazzi meravigliosi e chiese.
Le chiese sono una presenza costante, maestose o minuscole, schiacciate tra i palazzi e con ai lati, al posto delle vetrate a volta, balconcini con i panni stesi e antenne paraboliche attaccate sghembe.
Ecco forse a guardare bene da lontano è tutto un po' sghembo, come messo lì un attimo in attesa di una collocazione precisa che si è persa negli anni e nella vita che scorre.
E di vita ne scorre parecchia.
Vita ambulante, vita agiata, vita che si rincorre tra un caffè con calma e una granita al limone.
La calma è un altro punto assolutamente fermo...immobile.
Pare che nessuno abbia fretta, non chi passeggia, non chi lavora, non chi aspetta tranquillo lo scorrere dei colori del semaforo finché quello davanti a lui finisca di parlare di nulla con l'amico sul marciapiede.
Palazzi antichi e curati sulle vie principali e scorci di colorata decadenza sui vicoli che si aprono tra di loro.
L'effetto è bizzarro.
La quinta strada e trenta metri dietro il bronx, ma non un bronx cattivo e violento, un bronx caciarone, fatto di trecce d'aglio e cipolle che penzolano sul balcone, fatto di cascate di peperoncini e canovacci appesi tra calze, mutande e felpe Calvin Kline, più vere degli originali, perché che son fatte in china loro lo dicono....le altre, quelle nei negozi che costano no, loro millantano un pregio che è tutto un gioco di radianza.
Ogni bar, ogni ristorante è cordialità e benvenuto, è sorrisi e accoglienza, sembra che quella mattina si siano svegliati per servire te...o son solo dei gran paraculi e leggono quel turista scritto a chiare lettere in fronte, ma non credo.
Che poi, non servirebbe neanche leggerlo...basta che tu apra bocca e loro han già capito, già sanno, già sanno che per chiudertela ci vuole un babà...uno vero, una cosa di cui tu non immaginavi neanche l'esistenza.
E poi il mare, il golfo...le stazioni della metropolitana.
Le stazioni della metropolitana sono un delirio, dei musei sotterranei, degli esperimenti di pop art, delle discoteche anni 80'.
Colorate, pulite, singolari, psichedeliche!
Ma poi viene la notte.
E di notte tutto diventa caotico, i vicoli si riempiono, i muri diventano scuri e bui, dopo che i negozi chiudono gli occhi coprendo le scintillanti vetrine che di giorno li spezzano.
Le scritte vergate su saracinesche e mattoni, inghiottiti nella notte scura, danno un senso di claustrofobia, pare che ti vogliano inglobare e far scomparire tra la gente che passa o dietro ad un angolo.
Vien voglia di scappare, di tornare al grigio e al rigore ad un posto in cui un casco slacciato è da ammonire.
Ma poi pensi a quello che ti ha colpito di più.
Quella cosa che ti ha lasciata stupita e senza parole: i baci.
Per quelle strade, in riva a quel mare, tra quei vicoli, su quelle panchine ci si bacia.
Molto.
Sembra si bacino tutti.
Senza limiti d'età e senza pudore.
Baci belli, profondi, baci sentiti, baci che paiono per sempre.
Ed è così che bisognerebbe baciarsi, bisognerebbe farlo pensando che il prossimo che darai sarà il più bello e importante della tua vita.
Bisognerebbe impegnarsi quando lo si fa.
Mandare in ferie la vergogna e confluire anima e passione alle labbra così che quelle che incontreranno le nostre non possano fare altro che arrendersi.
E chissenefrega se domani baceranno un'altra, in questo bacio ci hai creduto e mai un “qui ora” è stato più vissuto.
Ed è stato pensando a quei baci che è passata la claustrofobia.
Perché le creature non sono macchine e per avere quei baci serve passione e la passione a volte fa dimenticare il resto.
Loro hanno il mare, il tempo cristallizzato e un vulcano inquieto a fianco.
Un mare che significa da sempre partenza e arrivi, un vulcano che sottolinea la precarietà di tutto e loro nel mezzo che è come se decidessero che, in tutto questo movimento, star fermi ed aspettare è forse l'unica soluzione.
In loro si percepisce una gran voglia di cambiamento annegata nella consapevolezza che nulla cambierà mai.
E giudicarli sarebbe stupido e arrogante.
Perché i figli degli altri li sanno educare tutti, le suocere degli altri sopportare....e tutti quelli che non ci vivono sanno come cambiare Napoli...